Ovvero: come sopravvivere tornando, e come fare a tornar restando
Pare sia giunto il momento di stilare un resoconto dettagliato circa un mare di cose, appurato che non ci sto capendo più nulla, e non mi oriento più né nel mare, né nelle cose. Mi pare giusto anche, tra tutto il sano parere che par parere oggi, dare un accenno della base musicale che insolitamente mi accompagna in questa pseudo-traversata nel marasma delle mie angosce, che è Hotel California. E’ un caso, ma a pensarci bene nemmeno tanto.
Intanto mi affiorano alla mente anche brani meno inquietanti che hanno più inerenza ai pensieri che mi accingo a esplicitare: brani come tornar tornar tornar lei vive solo per tornar, o era lui che vive per tornar, non importa, tanto si è capito che i problemi di sesso e soggetti non reggerebbero la forza che ci metto nel voler fare un transfer per ogni canzone che mi capita di ascoltare. Oddio, non troppo, lo dimostra che con sto John Holmes, anche con tutto lo sforzo possibile, non riesco proprio ad immedesimarmi.
Anche se in vita per il cinema vita per la moto, si potrebbe benissimo ritrovare un concetto di rincorsa dei propri sogni in una situazione psicofisica piuttosto disagiata, rincorsa in fin dei conti ben finalizzata, e si potrebbe quindi carpirne un messaggio positivo e incoraggiante. Ma anche no.
Insomma il punto della situazione eccolo. Sono intrappolata in una specie di non luogo in cui non capisco che strada prendere per affacciarmi sulla realtà di Mister Uomo e Miss Donna Chiunque. Ed è problematica, questa specie di clausura, perché mi impedisce di fare un sacco di cose, come trovarmi un lavoro degno di questo nome, di aprire un’attività, di iniziare a stabilirmi almeno mentalmente in un posto con lineamenti urbanistici ben definiti.
Sono nomade. Fisicamente, beninteso, ma soprattutto mentalmente. Ho il sano terrore di impiantarmi, il modesto dubbio di riuscirci, e l’enorme necessità, nonostante tutto, di farlo.
Da circa una settimana passo il mio tempo a tentare di ammaliare il mio senso pratico con proposte allettanti circa l’una o l’altra possibilità, che sarebbero sempre le solite da eoni: tornare o restare? Esemplificando: mi ritrovo a dirmi Oh che bella l’Italia, l’unico posto che si possa con coscienza chiamare Casa, anche i rutti hanno un suono piacevole, qui. Oppure: epperò il Belgio, pieno di opportunità, potrei addirittura tentare di sperare di sognare di diventare [ne avrei aggiunti altri ma ho esaurito le scorte di verbi al riguardo] un’artista, lì. Che palle. Non riesco a decidermi, così lascio che sia il mondo intorno, ora, ad allettarmi con quel che crede siano motivi più che validi per farmi restare. Dove non so. Il problema è che per uno strano scherzo del destino, tutti ma dico proprio tutti si sono messi in testa di dare il meglio di loro stessi nello stesso lasso di tempo.
Tanto che mi viene da pensare ad una specie di gioco del tiro alla fune, in cui io rappresenterei senza dubbi il pippolo incastrato nel mezzo della corda. Riesce anche facile pensare che il mio metodo di approccio alla questione sarebbe quello di cedere, alternando, a una buona ragione o l’altra fino a che uno dei due estremi non si decida a rompersi le palle e molli.
Ovviamente, poi, sceglierei quello.
Semplice, limpido, idiota. Tipicamente me, con tutto la terribile aura di comportamento femminile che quest’ atteggiamento si trascina dietro.
Resta il fatto che non sto tanto bene, in questo andirivieni.
Oltretutto questo Nero Media Player funziona da schifo sul Pc che sto usando. Alla chiusura di ogni pezzo sopraggiunge una chiusura forzata del programma stesso. Il che implica che se la musica riuscisse realmente ad ispirare la mia concezione letteraria qui presente per poi vedersi così castrata, potei riportare dei danni psicologici medio/lievi a causa della distrazione che questo coito interrotto mi provoca da almeno un’oretta passata a riavviare tutto con un brano diverso. Prendo fiato.
Intanto Nero ha deciso che gli Iron Maiden dovevano cessare.
Hanno cessato, ora suona il telefono.
E’ destino che questo resoconto non raggiungerà mai un punto nevralgico, con la conseguenza che non capirò mai cosa mi assilla, e non risolverò il mio grave problema di clausura.
Infostrada ne fa di guai. Non solo ti chiama per venderti cose che se tu avessi voluto ti saresti andato a cercar da solo come un bravo adulto che ha i mezzi di comunicazione necessari, ma interrompe parti mentali vitali. Potrei citarli in giudizio. Ma ho il terrore di ritrovarmi a dovermi presentare in Burkina Faso nel giusto lasso di tempo di 3 giorni, per combattere contro l’avvocato dell’Imputato Infostrada che ha pronta la macchina fotografica per ritrarmi in mutande alla fine del processo.
Credo che mi terrò la mia denuncia e seppellirò questo feto di raziocinio in qualche meandro bell’asciutto del mio voler dire, di modo che con il caldo non faccia tanta puzza.
Quindi chiudo qui con la semplice constatazione che niente di fatto, torno o resto, non lo so. Continuo a trottolare.
Hasta Manana.
Hasta Siempre.